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Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 3, Classici italiani, 1824, XII.djvu/411

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TERZO i 563 nel greco, ma nell’arabico ancora, nel turchesco, e in altri linguaggi (Lettere, p. 127). Un Breve di Leon X, inserito tra le Lettere del cardinal Sadoleto (Sadoleti Epist. Pontjf, p. 68), sembra indicarci che Francesco Rosi ravennate avendo viaggiato nell Oriente, e avendo scoperto in una assai copiosa biblioteca, che vide in Damasco, un’ opera scritta in arabico e intitolata la Filosofia mistica d’Aristotele, l’avesse recata in latino. Ma veramente, come osserva il P. abate Ginanni (Scritt. ravenn. t. 2, p. 292, ec.), ei fu il ritrovatore del codice, ma non ne fu il traduttore; e l’opera fu tradotta in latino da un certo Mosè Rova, ch’era allora in Damasco, corretta da Pier Niccolò Castellani faentino, e stampata poi a spese del Rosi e col privilegio di Leone X in Roma nel 1519. Un certo Pietro Abate natio dell’ Etiopia, uomo assai dotto, e ricevuto in sua corte da quel gran protettor delle lettere il cardinal Marcello Cervini, indusse due eruditi Italiani, ch’ erano alla corte medesima, a studiar quella lingua. Il primo fu Mariano Vittorio da Rieti, che fu poi vescovo della sua patria, e che, oltre l’edizione dell Opere di S. Girolamo, fu il primo a darci una Grammatica di quella lingua, stampata in Roma. L’altro fu Pier Paolo Gualtieri aretino che recò in lingua latina la Messa ed altre cose rituali degli Etiopi; intorno a che veggasi la Vita di Marcello II scritta dal Pollidori (p. 60, ec.). Il Gualtieri fu ancor segretario del detto pontefice; e se ne può legger l’iscrizion sepolcrale presso il ch. monsignor Buonamici (De cl. Pontif. Epist. Script, p. 246).