Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 3, Classici italiani, 1824, XII.djvu/751

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TERZO j9°3 c famigliare, per sua natura medesima è bassa e triviale, se ella non è sostenuta da una certa eleganza di stile (che tanto è più difficile ad ottenersi, quanto meno debb’essere ricercata) e da un ingegnoso ma insiem naturale e verisimile intreccio di vicende e di piccole rivoluzioni, cade del tutto a terra, e appena è possibile il sostenerne la rappresentazione o la lettura. Questa difficoltà di ben riuscire nelle commedie fu quella per avventura che indusse molti comici a procurare alle loro azioni l’applauso che non isperavano di ottenere sì agevolmente per altra via, con una sfacciata impudenza nelle parole, ne’ gesti, nelle azioni; perciocchè in que’ tempi sì liberi e dissoluti avveniva pur troppo che quanto più oscena era qualche commedia, tanto più fosse applaudita. Nel che giunse a tal segno la libertà, che anche Giglio Gregorio Giraldi non si potè contenere di non biasimarla altamente: At nunc, dic egli (De Poetar, Hist. dial. 8, Op. t. 2, p. 438), mi hi apud vos secreto liceat exclamare: o tempora! o mores! Iterum obscena omnis scena revocata est; passim fabulae aguntur, et quas propter turpitudinem Christianorum omnium con sen sus expulerat, ejecerat, exterminaverat, eorum, si Deo placet, praesules, atque nostri ipsi aulisti fes, nedum Principes, in medium revocant et publice actitari procurant. Quin et famosum histrionis nomen jam Sacerdotes ipsi et sacrìs indiati sibi ambitiose asciscunt, ut inde sacerdotiis locupletati honestentur. Di questa impudenza del teatro di quell' età abbiamo pruova fra le altre in una