Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 4, Classici italiani, 1824, XIII.djvu/26

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I()88 * LIBRO a Roma l’anno seguente, si adoperò a raccogliere le infelici reliquie della dispersa Accademia. Nel 1537, morto il Favorino, gli sottentrò il Colocci nel vescovado di Nocera, cui poscia cedette nel 1546 a Girolamo Mannelli da Rocca Contrada suo nipote, e tornato a vivere tranquillamente in Roma, ivi diè fine a’ suoi giorni nel dì 1 maggio del 1549 Delle molte opere dal Colocci composte, le quali appartengono presso che tutte alla piacevole letteratura, benchè pure abbiavi qualche opuscolo filosofico e matematico, io lascerò che ognun vegga l’ esatto catalogo che ce ne ha dato lo scrittor' della Vita. Le Poesie latine del Colocci sono per eleganza e per grazia uguali a quelle de più colti poeti di questa era. Le Poesie italiane, benchè non mi sembrano tali da stare a confronto colle latine, per riguardo nondimeno al tempo in cui furono scritte cioè al principio del secolo, mentre sì scarso era il numero de’ buoni rimatori, si possono esse pure annoverare tra le migliori che di que’ tempi si abbiano, e deesi perciò al Colocci la lode di aver e coll esempio e colla munificenza giovato non poco a ravvivare e a rendere vieppiù, fiorente l una e l’altra poesia. VII. Al Colocci congiunge l’Arsilli Scipion Carteromaco, ossia Forteguerri, e Giano Parrasio. Ma del primo abbiam favellato nella storia del secolo xv, del secondo favelleremo nel capo seguente. Nomina poscia con molta lode Gianluigi Vopisco napoletano, di cui alcune Lettere al Colocci ha pubblicate l’ abate Lancellotti (Vita di A. Colocci, p. 87), e Mariangelo