Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 4, Classici italiani, 1824, XIII.djvu/334

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2296 LTBRO aver rubate al Fortunio alcune poche cose, ei se ne dolse in una lettera a Bernardo Tasso (t. 3, l. 6), affermando che anzi il Fortunio avea da lui avuto quel primo abbozzo della sua opera , e di esso si era giovato nel suo libro. E il Bembo era uomo troppo leale e sincero , per non dovergli in ciò prestar fede. Egli è vero che anche il Fortunio nel suo proemio protesta ch’egli avea cominciata quella fatica fin da più anni addietro; ma ei non ne reca alcun monumento, nè veruna testimonianza, come fa il Bembo riguardo all’opera sua. Or questa, benchè posteriore di tempo quanto alla sua pubblicazione , fu veramente la prima opera da cui si potesse dire illustrata la nostra lingua; non già ch’essa sia scritta col metodo con cui i libri elementari vogliono essere scritti, ma perchè l’autore esamina giustamente e con buon senso discorre intorno a’ pregi della lingua medesima, e su’ migliori scrittori di essa va facendo utilissime riflessioni. Essa fu perciò lodata da molti anche tra i Fiorentini, e il Varchi fra gli altri ne parla spesso con molta lode nel suo Ercolano, e nella dedica fatta nel 1549 delle Prose medesime al duca Cosimo , dice che i Fiorentini non potranno mai essere abbastanza grati al Bembo, per aver egli la loro lingua dalla ruggine de’ passati secoli non pure purgata, ma intanto scaltrita, e illustrata, che ella ne è divenuta quale si vede. Ma non perciò le mancarono contraddittori e nemici. Fra gli altri il Castel vetro ne scrisse un1 aspra censura, parte della quale fu pubblicata in Modena nel i563;