Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VII, parte 4, Classici italiani, 1824, XIII.djvu/40

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2002 LIBRO tempi di Leon X con un suo poema di ben ventimila versi, intitolato Alexiados, e presentatosi agli Accademici colla improvvisali ice sua cetra, essi al vederlo pingue in volto e ben zazzeruto, pensarono ch’ ei fosse opportuno a fare una piacevole scena. Raccoltisi dunque a un solenne convito in un’ isoletta (del Tevere sacra già ad Esculapio, ivi, mentre il Querno mostravasi valoroso ugualmente nel poetare che nel bere, gli poser lietamente sul capo una corona di nuovo genere, tessuta di pampini, di cavoli e di alloro, e con replicate viva lo acclamarono arcipoeta. Gonfio di tanto onore, bramò di essere presentato al pontefice, e innanzi a lui fece pompa del suo talento poetico. Leone conobbe che costui era tutto opportuno a rallegrar le sue cene; e ad esse perciò ammettendolo, davagli a quando a quando qualche boccone, cui il ghiotton poeta standosi in piedi presso una finestra si divorava; e quindi il pontefice davagli a bere nel suo bicchier medesimo, a patto che dovesse dire tosto sull’argomento propostogli almen due versi; e s’ei non vi riuscisse, o se i versi fosser poco felici, fosse costretto a bere il vino ben adacquato. Così il Querno serviva di trastullo al pontefice, il quale si compiaceva talvolta di verseggiare egli ancora, rispondendo al Querno, come allor quando avendo costui detto: Archipoeta facit versus pro mille Poetis. Leon prontamente risposegli: Et pro mille aliis Archipoeta bibit;