Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VIII, parte 1, Classici italiani, 1824, XIV.djvu/404

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3c)2 nino solo che nel quinto libro avea egli trattato delle linee rette massime e minime, che vanno alle periferie delle sezioni coniche. Il Viviani si accinse a supplire alla perdita di questo libro, e a indovinare, come avea fatto d’Aristeo, ciò che potesse avere scritto Apollonio. E già crasi mnoltrato nel suo lavoro, quand’ecco che nel 1656 il Borelli trova in Firenze l’opera d’Apollonio tradotta in arabico. Invogliossi egli tosto di darla al pubblico tradotta in latino; ma perchè quella lingua gli era del tutto sconosciuta, ottenutane licenza dal gran duca, recossi col libro a Roma nel 1658, e il fece tradurre dal maronita Abramo Eckellense, e la traduzione era compita fin dall’ottobre dell’anno stesso (Lett. ined. t. 1, p. 145). Il Viviani , a cui sarebbe spiaciuto perdere il frutto delle sue non lievi fatiche, provò con atti autentici che nè egli veduto avea quel libro, nè punto sapeva di arabico, e anche il gran duca prese le più opportune cautele perchè nulla si scemasse alla gloria del Viviani Affrettò egli adunque l’opera cominciata , ma nell’affrettarla , caduto infermo, e non volendo tardar più oltre la stampa, la diè non ancor finita alla luce nel 1659. Due anni appresso uscirono il quinto, il sesto e il settimo libro di Apollonio (poichè l’ottavo non si era trovato), tradotti dall’Eckellense e dal Borelli. E i matematici corser tosto a esaminare se il Viviani avesse colto nel segno. Niun confronto fu mai più glorioso di questo. Si vide che il Viviani non solo avea indovinato felicemente ciò che Apollonio avesse potuto dire, ma che, ove da lui