Pagina:Tiraboschi - Storia della letteratura italiana, Tomo VIII, parte 2, Classici italiani, 1824, XV.djvu/184

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708 LIBRO tozzi di pane, se ne fuggì, e per tre anni andò aggirandosi per solitarie montagne in compagnia delle bestie e de’ loro pastori. Un di questi, che dovea esser uom dotto, perchè sapea leggere, godeva talvolta di portar seco l’Ariosto , e di farne udir qualche tratto a’ suoi colleghi. Il Peri provava a quella lettura incredibil piacere, e più ancora all udir che lece talvolta la Gerusalemme del Tasso. Frattanto, trovato da suo padre, fu ricondotto a casa, e allora che sarebbe stato opportuno mandarlo alla scuola , fu destinato ad aver cura dei buoi. Ma mentre questi fendevano i solchi, il Peri, provvedutosi ingegnosamente de’ mezzi a scrivere, facea versi, e di nascosto scriveali. Il talento del Peri non potea star lungamente nascosto. Cominciò a comporre drammi pastorali, e godeva di recitarli egli stesso co’ suoi compagni; e ognuno può immaginare quanto quel teatro fosse magnifico. Si accinse poscia a scriver poemi, e avendone composto uno sulla caduta degli Angioli, il fè recitare innanzi al gran ducache venne a passare per quelle montagne nel 1613. Così fattosi conoscere il Peri, fu quasi a forza tratto a Firenze, e da Giambattista Strozzi nel suo abito contadinesco presentato al gran duca, il quale si prese maravigli oso trastullo della semplicità insieme e del talento di quel rozzo bifolco. Interrogato qual grazia volesse, rimase prima sorpreso a tal nome; poscia, preso coraggio, pregò il gran duca a fargli dare ogni anno tanto frumento, quanto alla sua famiglia bastasse, e l’ottenne. Tornato poi alla patria, porse uno scherzevole memoriale