Pagina:Torriani - Prima morire.djvu/115

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E la Eva a sfarfallare in mezzo a quella gente come nel suo elemento; sempre in botta e risposta coll'ufficiale, raccogliendo le sue parole come perle, collezionando i suoi complimenti, facendoglieli stemperare per gustarli meglio, affettando modestia per farsi rincarare la dose dell'adulazione.

La rividi come l'avevo veduta la prima volta in casa sua, frivola, mordace, vana.

Il suo cuore, che credevo di avere ridestato ai sentimenti più nobili, ora palpitava soltanto per la smania di innamorare un uomo volgare.

Credo che la Santa Inquisizione non abbia inventato mai nulla di più crudele del supplizio che m'inflisse l'Eva quel giorno.

La gelosia mi rodeva. Mi batteva il cuore colla concitazione convulsa di chi sta per prorompere in uno sfogo impetuoso. Mi sentivo pallido di quella pallidezza irosa che scolora anche le labbra, quando il sangue sembra ritirarsi da tutte le vene e lasciarle fredde, per affluire sussultante al cuore. Tremavo tutto. Avevo la gola arsa. Se avessi parlato, la mia voce sarebbe uscita oscillante, o forse strangolata da un impeto di pianto rabbioso.

Tratto tratto mi saliva al cervello una vampata di sdegno che mi acciecava, ed ero sul punto di alzarmi, gettarle una parola sprezzante, ed uscire. Ma subito mi vedevo fuori, esiliato volontariamente e per sempre da quella casa, col mio odio disperato per tutti quelli che avvicinavano l'Eva, e la smania impotente di sapere cosa sarebbe accaduto là dentro.

Tutte le parole che l'Eva diceva a quell'ufficiale mi pareva che avessero un senso recondito; le trovavo sfacciate. E per lui non c'era espressione che mi sembrasse