Pagina:Torriani - Prima morire.djvu/143

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lui, Leo, di quanto fosse rimasto. Lo pregai di accettare quel legato come un segno di perdono, perchè la morte che m'avrebbe data, ero io che la volevo, che me l'ero imposta come una espiazione dei torti di Marco, come la sola soddisfazione che potessi dare ad un amico offeso.

La notte precedente l'avevo passata in viaggio, e, giunto la mattina a Torino, avevo sofferto in quel giorno tali scosse, tali dolori, che ero sfinito. Non avevo pensato a mangiar nulla. Le forze mi mancavano. Tornato dai funerali, avevo pianto colla debolezza nervosa di un bambino.

Quand'ebbi finito di scrivere mi alzai, mi gettai boccone sul letto, mi abbandonai ancora ad uno sfogo di pianto. Avrei voluto che fosse tutto finito; avrei voluto esser morto. Non potevo sopportare l'idea di vedere Leo coll'arma puntata verso di me, d'essere ucciso dal solo uomo che m'era caro, dal solo da cui avrei voluto essere confortato nel momento pauroso della morte.

Spossato com'ero, finii per addormentarmi d'un sonno affannoso, pieno di incubi. Mi pareva di vedere ancora ed ancora la scena desolante del duello. La campagna arida e coperta di neve gli alberi coi rami stecchiti come delle membra di cadaveri, il cielo grigio, una tinta fredda di morte su tutta la natura; e Leo, più freddo, più inesorabile della morte, ammantato nel drappo nero e giallo che aveva coperta la bara di Marco, venirmi incontro colla pistola puntata al mio cuore. Ed ogni volta mi pareva di sentirmi nel petto l'urto della palla e lo sfinimento della morte.

In uno di quei momenti mi destai in sussulto e balzai a sedere sul letto. M'ero addormentato al crepuscolo,