Pagina:Torriani - Prima morire.djvu/176

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e l'oscurità esterna, che sembrava guardarmi col suo sterminato occhio nero, traverso la finestra.

Mi agitai tutta la notte in una veglia affannosa. Mi figuravo la camera elegante dell'Eva, i tappeti, le poltroncine, l'ambiente tepido e profumato, e mi vergognavo confrontandoli con quella mia spelonca, come se avessi una certezza irrevocabile di doverci passare il resto de' miei giorni.

E poi pensavo:

— È mai possibile che una dama elegante, che ha della servitù numerosa, una famiglia affezionata, possa uscire di casa alle sei del mattino, con una valigia grande o piccola, senza far maravigliare la cameriera, il portinaio, senza che tutta la casa si desti per lo stupore?

Appena le vetrate verdognole cominciarono a rischiararsi, balzai dal letto ed uscii fuori nel gelo d'un'alba grigia. La pioggia era cessata, ma le straducole erano fangose, ed i pochi alberi che vedevo tratto tratto, erano mezzi sfrondati, e le poche foglie rimaste, piegate languidamente in giù, avevano una goccia alla punta, che s'allungava, poi cadeva lenta come una lagrima sulle foglie secche che giacevano per terra.

Era una scena squallida che assiderava. Desideravo un bel raggio di sole collo stesso ardore con cui desideravo l'Eva. Mi pareva che il sole, la luce, la letizia del cielo, un bell'estate di San Martino, fossero indispensabili per indurla a quel viaggio di amore.

Man mano che l'ora avanzava, si aprivano le botteguccie puzzolenti di commestibili, ed i bottegai uscivano sulla soglia stirandosi le membra e scambiando