Pagina:Torriani - Prima morire.djvu/213

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Forse lei stessa avrebbe riso se avessi fatto delle scene di passione.

Al mio ritorno mi venne incontro col suo sorriso affettuoso, ma calma; e mi porse la mano come si fa tra amici; non mi saltò al collo, convulsa dalla gioia come una sposa innamorata. Infatti così doveva essere. Eravamo due amici; una serie di circostanze ci avevano fatti marito e moglie, ed avevamo accettata la situazione, ma l'amore non c'entrava affatto.

Le stanze erano in quell'ordine perfetto che sembra un lusso; il nostro pranzo, il primo, era disposto come se ci avesse provveduto una massaia, insediata da dieci anni al governo della mia casa. I bicchieri, le posate, la brocca dell'acqua e l'unica bottiglia di vino, mandavano un allegro scintillio sotto l'ultimo raggio di sole, che, entrando dalla finestra, tagliava la penombra della stanza, colla sua striscia di luce rossa, sparsa di pulviscoli dorati, che pareva una lama di ferro arroventato. Sul bianco lucido della tovaglia, si staccava il basso-rilievo d'un bel monogramma, il mio, ricamato dalla Mercede; e, traverso la piega dei tovaglioli, facevano capolino, come dall'apertura d'un cartoccio, i panetti lucidi, che quella copertura proteggeva contro la polvere.

L'antipasto, le frutta, tutti gli accessori del nostro modesto pranzo, che aspettavano disposti con simmetria sulla credenza, erano coperti da moscaiole di filo di ferro azzurrino, per garantirli dagl'insetti e dalla polvere. In un vaso di cristallo posto in capo alla tavola c'era il mazzo di fiori bianchi, che aveva compiuto il giorno innanzi la toletta da sposa della Mercede. Dall'insieme di quell'apparecchio,