Pagina:Torriani - Prima morire.djvu/240

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temere, era vero pur troppo. Il mio ultimo saluto lo invocava pel suo cadavere.

Lo trovai pallido e bello, steso in una poltrona accanto al bragiere che lo aveva asfissiato; sui carboni ardenti erano inceneriti, ma non ancora disfatti del tutto, i grossi quaderni del Re Lear. I suoi ultimi momenti li ha impiegati a scrivermi; sono frasi slegate; l'asfissia gli offuscava già la mente. Ha scelto quel suicidio lento e comune per morire col suo lavoro. Doveva consegnarlo oggi all'editore. Lo ha distrutto un giorno prima; non ha voluto lasciar nulla che lo rammenti al mondo.

Non posso scriverti a lungo, mia cara. Ho dinanzi agli occhi una nebbia, e distinguo a stento le parole che scrivo. Tutta questa notte ho vegliato, oppresso da un dolore acuto ed amaro; un dolore che somiglia ad un rimorso.

Mi pare di sentirmi sulla coscienza una parte di responsabilità in questa sventura. Ho persuaso il mio povero amico ad un giuramento audace, che gli imponeva questa crudele espiazione. Chi sa quanta parte ha esercitata il ricordo di quel patto, sulla sua immaginazione ardente, infrenabile, che padroneggiava tutte le altre facoltà della sua mente, e che forse subiva un'attrazione ereditaria al suicidio!

Fu un atto di superbia la nostra fiducia di rimanere illibati ed impeccabili, e di profferire contro noi stessi anticipatamente una sì feroce condanna. Da questa catastrofe fummo puniti in due. Lui pel suo errore, io pel mio orgoglio.

O mia pura Mercede! Ogni volta che ti parlai del mio povero Augusto ti mostrasti sempre severa nel giudicarlo; non potevi perdonargli di aver tradito