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candosi con quei sassi per darsi un’aria disinvolta, mentre invece la sua voce tradiva l’agitazione dell’animo.
II.
— Tre anni sono, disse, ero un giovinotto allegro, pieno di vita, affettuoso, noncurante del domani, amante del lavoro, appassionato per la mia arte, nella quale mi sentivo capace di riescire a qualche cosa.
— Bada alla tua modestia, Gustavo. La farai arrossire.
— No; lasciami dire quel tanto di buono che ho avuto; ne avrò bisogno per farmi perdonare il tanto male che mi resta a dirti.
Poi soggiunse con un sorriso penoso come una lacrima:
— Parlo di un morto. Il Gustavo d’allora non esiste più.
E continuò a rimovere vivamente quel pugno di sassolini, a gettarli in alto ed a riprenderli, finchè l’intenerimento che gli aveva fatta oscillare la voce nelle ultime parole fu dominato. Allora riprese senza alzare lo sguardo: