Pagina:Torriani - Tempesta e bonaccia, Milano, Brigola, 1877.djvu/116

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pensieri, la mia anima nella penombra misteriosa di quella porta, ed entrai finalmente nella mia stanza.

«Non potei occuparmi di nulla. Per me aspettare è sempre stata una così grande e laboriosa occupazione, che non mi fu mai possibile di far qualche altra cosa mentre aspetto una persona o un avvenimento importante. Sedetti sulla punta d’una sedia, nell’atto precario di chi sta per slanciarsi incontro a qualcheduno, ed aspettai. Non potevo nemmeno pensar nulla. Sul camino stava un orologiaccio di bronzo dorato, tutto giallo e lucido che pungeva gli occhi; ed io seguivo affannosamente il battito del suo pendolo col pensiero, ripetendo senza posa «verrà, non verrà; verrà, non verrà, ecc.» Il pendolo diceva quelle parole ed il mio pensiero era forzato a ripeterle meccanicamente come se fosse montato col pendolo. Mezz’ora dopo stavo ancora nella stessa posizione; ma mi sarebbe stato impossibile di udire qualsiasi rumore nella stanza vicina, tanto mi fischiavano gli orecchi, e mi assordava il sussultar violento del mio cuore, ripercosso alla laringe ed alle tempia. Non potevo più tollerare quell’incertezza. Pensai di mettermi a suonar il pianoforte ed a vocalizzare per isvegliare Max. Ma le mani mi tremavano convulse, e la voce poi! M’attaccai al cordone del campanello, e suonai come se avesse preso fuoco alla stanza. Non avevo che questo pensiero: sve-