Pagina:Torriani - Tempesta e bonaccia, Milano, Brigola, 1877.djvu/174

Da Wikisource.

— 168 —

«A quelle parole del babbo, io, che avevo sempre pianto in silenzio nelle sue braccia ascoltandolo, non potei più frenare i miei singhiozzi, e mi abbandonai ad un pianto convulso, disperato. Il babbo piangeva anch’esso; mi baciò più volte con trasporto, e ripigliò:

«— Via, non tormentarti, Fulvia. Vedi che ho potuto riabbracciarti. Chi sa; potrò forse ancora durare a lungo: sono malattie lente. Ma, per la mia tranquillità, perchè io possa pensare senza spavento alla morte, vorrei che tu mi dessi la consolazione di vederti unita a Gualfardo.

«Quella domanda in quel momento mi suonò terribile, spaventosa come un rimorso. Il mio fatale amore per Max, aveva distrutta l’ultima speranza del mio povero babbo. L’idea di dirgli in quel momento la triste verità, che Gualfardo non era più nulla per noi, che io l’avevo respinto colle mie follie, che non lo vedremmo mai più, mi fece spavento. Sentii che quella notizia poteva essergli fatale, che l’avrebbe forse ucciso; compresi che dovevo ingannarlo. Rimasi muta, assorta nel mio dolore.

«Egli pensò che esitassi a decidermi, e mi disse ancora:

«— Tu ti lasci sedurre da un’arte che lusinga il tuo amor proprio, e le sacrifichi un amore che ti farà felice. Credilo al tuo babbo, che ti ama tanto.