Pagina:Torriani - Tempesta e bonaccia, Milano, Brigola, 1877.djvu/178

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steso nella sua poltrona. Non mangiò quasi nulla, e ripetutamente si lagnò di non vedere Gualfardo. Io gli dissi una quantità di scuse: aveva trascurato a lungo le sue lezioni durante la mia assenza, ed ora, che io era presso il nostro caro malato, desiderava di riparare il tempo perduto. Andava in iscena un’opera nuova, ed egli doveva dirigere le prove d’orchestra. Era occupato egli stesso a scrivere un’opera, ed aveva frequenti abboccamenti col poeta che gli scriveva il libretto.

«Ma il babbo non s’appagava di quelle ragioni che egli sapeva al pari di me.

«— I giorni scorsi lavorava qui — mi diceva; — e tra una lezione e l’altra passava a vedermi. Dovrebbe oggi venire più che mai, dacchè ci sei tu. Voi non v’amate come prima. Ieri me ne sono accorto. Perchè non vi parlavate punto tornando dallo scalo? Tu non lo guardavi nemmeno; ed egli se ne andò appena fosti giunta. Ebbi una grande fatica a salire la scala da solo. Egli mi reggeva sempre. Come è andata a non scontrarvi a Milano?

«Tutte queste domande mi straziavano il cuore. Rispondevo vagamente, cercando di rassicurarlo, ma vedevo che non potrei ingannarlo a lungo. L’assenza di Gualfardo lo tormentava, ed a me non riesciva di spiegarla.

«Dopo due giorni il babbo era tanto inquieto, che