Pagina:Torriani - Tempesta e bonaccia, Milano, Brigola, 1877.djvu/194

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persino ad un’abbreviazione per sbrigarsi più presto da un dovere di società che non aveva nessun lato piacevole, mi parve uno scherno al mio dolore, mi irritò; e d’allora a misura che la serva mi recava quelle buste le gettavo sulla tavola senza aprirle.

«Non so quanto tempo rimanessi così, muta, triste, isolata nella mia camera. Forse qualche settimana appena, forse pochi giorni. Ma nella mia memoria quel tempo occupa uno spazio grande, mi pare di esserci rimasta un anno.

«Un giorno la serva entrò con una lettera. Io la presi e la gettai sulla tavola.

«Ma no. Ella tornò a darmela. Bisognava che io la leggessi; l’aveva recata un signore, che stava aspettando la risposta.

«— Chi è? domandai.

«La serva non lo sapeva. Era già venuto due volte, ed essa non l’aveva introdotto, dicendogli che io non ricevevo ancora. Ora era tornato con quella lettera, ed attendeva ch’io gli facessi dire una parola.

«Lessi la lettera. Era dell’agente teatrale che mi aveva proposto la scrittura per Nuova-York. Aveva aspettato a lungo la mia decisione in proposito. Non ricevendola era venuto per vedermi; alla porta gli avevano detto che il mio babbo stava male; che io non abbandonavo più la sua camera.

«Aveva compreso che in quel momento non po-