Pagina:Torriani - Tempesta e bonaccia, Milano, Brigola, 1877.djvu/231

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«Ma un braccio energico mi trattenne, mentre una voce ben nota, troppo nota, e profondamente commossa mi diceva:

«— Fulvia, perdonatemi!

«Era lo sconosciuto che aveva deposto il suo orribile passa-montagne; era Gualfardo.

«Era Gualfardo inginocchiato accanto a me. Gli ultimi raggi del crepuscolo entrando per una stretta finestra segnavano una striscia nell’oscurità della capanna, e rischiaravano il suo volto. Vidi quei begli occhi che mi guardavano con infinito amore, ed erano pieni di lagrime.

«— Welfard! mormorai. E mi strinsi al cuore la sua bella testa, e le nostre labbra si cercarono, e piangemmo insieme.

«— Mia Fulvia; mia amante; mia sposa; susurrava Gualfardo stringendomi le mani. Dimmi che vivrai, che vivrai per amarmi; per esser mia; per non lasciarmi mai più.

«— Ma tu, Welfard, potrai tu perdonarmi il mio torto, potrai tu amarmi ancora?

«— Oh cara, mi rispose col dolce accento passionato de’ nostri primi abboccamenti del collegio, non sai che t’ho amata sempre? Non sai che neppure un’ora ho dubitato della tua onestà? Era il tuo cuore che mi sfuggiva; ma io sapevo che tornerebbe; ed ho lasciato tempo al tuo cuore di tornare a me. Quei