Pagina:Torriani - Tempesta e bonaccia, Milano, Brigola, 1877.djvu/52

Da Wikisource.

— 46 —

e mi pareva ad ogni istante che gli altri due dovessero scomparire, e noi rimanere soli; soli in faccia l’uno all’altra; e guardarci finalmente, e cercarci negli occhi e sulle labbra tutto quanto ci eravamo detti colle strette delle nostre mani, e dirci: È vero.

Poi m’indispettivo che i miei amici si frapponessero tra me e lei; tra noi ed il nostro amore. Eravamo sempre appoggiati al balcone. Un momento pensai:

— Se l’inferriata del balcone cadesse, e li trascinasse con sè!

E, traendo meco la giovane che mi dava il braccio, mi rizzai per lasciarli cader soli. Oh, l’egoismo dell’amore!

Ma il terrazzo non cadde, nè i miei buoni amici con esso. Il tempo passava, ed io non pensava punto punto a spiccarmi di là. Ivi era la felicità; non avrei osato fare un movimento per timore di metterla in fuga. Fulvia mi strinse la mano ancora una volta, poi sciolse il suo braccio dal mio, e rientrò nella camera; i miei amici la seguirono.

Io rimasi immobile; e mi parve ch’ella fosse già troppo fredda, per aver saputo strapparsi spontaneamente a quella suprema gioia.

Un momento prima sentiva che quella donna mi amava; l’avrei giurato pel cielo e per la terra. Ed ora,