Pagina:Torriani - Tempesta e bonaccia, Milano, Brigola, 1877.djvu/85

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Aveva qualche cosa che mi somigliava. Egli la chiamava la vaniglia di Fulvia. Credeva di vedermi guardandola; nel togliere quel fiore gli era sembrato di farmi male e di sentirmi piangere....

«— Che tenerezza! esclamai volendo mostrare del sarcasmo.

«— Ebbene, riprese, si meraviglia della mia tenerezza? Ora non crede più ch’io non abbia cuore; si ricordi che mi ha detto di no, che non lo crede più.

«Io sorridevo senza rispondere e mi sentivo tutta accesa in volto.

Egli mi prese lentamente una mano e soggiunse:

«— Ora lo sa, nevvero, che ho un cuore?

«— Ero tutta commossa da quella prima stretta di mano. Lo guardai.

Egli era bello in quel momento; ed il suo volto animato non aveva più nulla della freddezza abituale. Abbassai il capo, e non dissi nulla; ma avevo accennato di sì.

«— Ed un cuore capace d’amare..., continuò egli alzandosi dal piano e baciandomi lievemente la fronte senza abbandonar la mia mano.

«Io feci un altro cenno come il primo.

«— E lei non mi vuol anche un po’ di bene? Non pensa un poco a me?

«Terzo cenno come sopra.

«Ero timidissima e quella scena che non mi dispiaceva punto, mi confondeva. Tuttavia era ben