Pagina:Torriani - Tempesta e bonaccia, Milano, Brigola, 1877.djvu/98

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bava l’impronta della sua. Ma la mia testa troneggiava fuor dalla sponda, e se volevo abbassarla al posto della sua testa, le ginocchia protendevano un metro lontano dal sedile. Pensavo al profeta Elia che per risuscitare i fanciulli morti si stendeva sui loro corpicini, le mani sulle mani, i piedi sui piedi, la bocca sulla bocca, ed invocai la fede che fa muovere i monti, per rinnovare quel miracolo, e rannicchiarmi nell’impronta di Fulvia sulla sua poltrona. Ma la fede non venne, nè il miracolo. Allora mi alzai, girai per la stanza esaminando ogni cosa. Pensai a Saint-Preux nella stanza di Giulia. Sopra una sedia nell’alcova erano alcuni oggetti di vestiario; alzai la cortina, stesi la mano per rinnovare le follìe dell’amante della Nouvelle Héloïse. Ma in mezzo alle tempeste della mia vita, in cui non mancano avventure, serbai sempre in me qualche cosa di ingenuo, una specie di culto sentimentale dinanzi al pudore d’una donna. E questo sentimento delicato mi fece ritirar la mano.

Indagare le forme d’una giovane amata nelle pieghe del suo busto! Quel Saint-Preux era indiscreto e brutale.

E lasciai ricadere la cortina dell’alcova, e tornai a sedermi nella poltrona di Fulvia, rassegnato ad occuparvi maggior spazio di lei.

Poco dopo l’uscio si aperse ed entrò Fulvia, che