Pagina:Torriani - Un matrimonio in provincia, Milano, Galli, 1885.djvu/8

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dere il letto, e passava la vita al buio dietro quel paravento; di mia sorella maggiore Caterina, che si chiamava Titina; e di me, che avevo ereditato dal mio compare il nome infelice di Gaudenzia, ridotto, per uso di famiglia, al diminuitivo ridicolo di Denza.

Avevamo una casa... Dio che casa! Un’anticamera, di grandezza naturale, ma chiara che abbagliava, e perfettamente vuota. Non c’era dove posare un cappello. Alcuni testi con un resto di terra arsiccia e dei mozziconi di piante, morte di siccità, perché nessuno si era mai curato di inaffiarle, la ingombravano qua e là, e servivano, quando occorreva, a tener aperto l’uscio che metteva in sala.

La sala vasta, quadrata, chiara, troppo chiara, perché non c’erano né tende, né cortine, né trasparenti alle finestre, era mobigliata con un divano addossato alla parete principale di contro alle finestre, quattro poltrone