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È difficile immaginare una gioventù più monotona, più squallida, più destituita d’ogni gioia della mia. Ripensandoci, dopo tanti e tanti anni, risento ancora l’immensa uggia di quella calma morta, che durava, durava inalterabile, tutto il lungo periodo di tempo, da cui erano separati i pochissimi avvenimenti della nostra famiglia.
Non conobbi mia madre, che morì nel primo anno della mia vita. La famiglia si componeva del babbo, notaio Pietro Dellara; d’una vecchia zia di lui, una zittellona piccola, secca come un’aringa, che dormiva in cucina dove aveva messo un paravento per nascon-