Pagina:Tozzi - Giovani, Treves, 1920.djvu/215

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I nemici.


Bisogna non dolersi dei nostri nemici, per quel senso di grandezza che si prova a odiarli. Anch’io avevo un nemico, e lo amavo come un fratello quando dovevo più guardarmi da lui, e quando bastava il suo sguardo a ricordarmi, che non potevo ignorare che anch’egli esisteva come me. Si chiamava Rutilio Papagli; e non gli avevo mai fatto del male. Ma egli era tra pazzo e cattivo; e, quando s’avvicinava a me per parlarmi, capivo subito quale era stato il suo scopo. Perchè senza uno scopo suo, egli mi evitava e non lo vedevo mai. Stava di casa vicino a me, e come me era impiegato al Ministero dell’Istruzione. Egli, invece, sentiva subito la mia bontà istintiva; e, benchè quasi me