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16 | un’osteria |
— Che hai? I nervi?
— Un poco.
E mi sentivo scontento anch’io.
Vedevo soltanto la sua maglia sbiadita e i suoi capelli impillaccherati sotto il berretto senza ormai più colore. Qualche volta gli ricordavo qualcosa, perchè si voltasse. I suoi occhi neri si alzavano un poco e poi si riabbassavano su la ruota d’avanti. Ma faceva una risata. Era robustissimo, con le braccia scure e pelose come i polpacci delle gambe; e gli volevo bene come a un fratello. L’avevo conosciuto quando andavo a scuola; ma non l’avevo e non l’ho mai più dimenticato. Parlava pochissimo, almeno con me; e, perciò, mi piaceva.
Io ero grasso, ma non meno robusto di lui; e potevamo compiere la stessa fatica.
Ci fermammo a mangiare non ricordo più dove; e siccome ci avevano detto di aspettare perchè avrebbe spiovuto, la sera non arrivammo più là di Crespino, quasi a mezzo tra Faenza e Firenze. Le nebbie s’erano diradate, ma proprio sereno non fu mai. Intanto si fece freddo e buio prestissimo; e dovemmo prendere la bicicletta a mano. Non ci si vedeva nè meno a