Pagina:Tozzi - Giovani, Treves, 1920.djvu/26

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un’osteria 19


Non s’era nè meno mossa; fissando sempre dritta la parete davanti a lei; con una pezzuola di colore avvolta intorno alla testa. I suoi occhi luccicavano. Io pensai: «È una pazza, forse?» E non potevo fare a meno di non voltarmi a lei. Ma, lavateci le mani, ci mettemmo a sedere. Su la tavola c’erano già i piatti, piccoli e smaltati male; forse, lerci. Alcuni di quegli uomini si sederono ai loro soliti posti; gli altri uscirono, salutandosi. Quelli rimasti eran facchini della stazione, e gli altri carbonai e barrocciai.

Accanto a noi due c’era un posto vuoto. Ed io chiesi, tanto per attaccare discorso:

— Qui chi ci mangia? Se non deve venir nessuno, possiamo stare meno a stretto.

Uno, dopo aver bevuto senza staccare gli occhi da me finchè teneva il bicchiere alla bocca, rispose:

— È per la maestrina.

Tutti fecero una risata; ma poi si misero a parlare tra sè, di cose loro.

Giulio esclamò:

— La maestrina? Speriamo che sia bella!

— Speriamo. — Io risposi sorridendo, un po’ seccato. — Ma la minestra quando è pronta?