Pagina:Tragedie, inni sacri e odi.djvu/407

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adda 377

      Ben so che d’altro vanto aver corona
     Pretende il re de’ fiumi; e presso al Mincio,
     Del primo onor geloso, ancor s’ascolta
     Sonar l’onda sdegnosa armi ed amori;
     45E so ch’egli n’andò poi de la molle
     Guarìnia corda, or de la tua, superbo.
     Ma non vedi con l’irta alga natia
     Splendermi il lauro in su la fronte? Salve,
     Vocal colle Eupilino; a te mai sempre
     50Rida Bacco vermiglio e Cerer bionda:
     Salve onor di mia riva! A te sovente
     Scendean Febo e le Muse eliconiadi,
     Scordato il rezzo de l’Ascrea fontana.
     Quivi sovente il buon Cantor vid’io
     55Venir trattando con la man secura
     Il plettro di Venosa e il suo flagello;
     O traendo l’inerte fianco a stento,
     Invocar la salute e la ritrosa
     Erato bella, che di lui temea
     60L’irato ciglio e il satiresco ghigno;
     Ma alfin seguialo, e su le tempia antiche
     Fea di sua mano rinverdire il mirto.
     Qui spesso udillo rammentar piangendo,
     Come si fa di cosa amata e tolta,
     65Il dolce tempo de la prima etade;
     O de’ potenti maledir l’orgoglio,
     Come il Genio natio movealo al canto,
     E l’indomata gioventù de l’alma.

     Or tace il plettro arguto, e ne’ miei boschi
     70È silenzio ed orror. Te dunque invito,
     Canoro spirto, a risvegliar col canto
     Novo romor cirrèo. A te concesse
     Euterpe il cinto, ove gli eletti sensi
     E le immagini e l’estro e il furor sacro
     75E l’estasi soavi e l’auree voci
     Già di sua man rinchiuse. A te venturo
     Fiorisce il dorso brianteo; le poma