Pagina:Tragedie, inni sacri e odi.djvu/482

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bensì democratico, ma per nulla affatto demagogico; e alla forma esterna del governo egli dava un’importanza tutta relativa. La Rettorica come la Mitologia egli le aveva seppellite da un pezzo, e le vuote forme e le grosse parole non lo movevano che al sorriso o alla derisione.

Nella primavera del ’65, proprio quell’imperatore vilipeso, anzi bombardato, dalle frasi magniloquenti di Victor Hugo (il bersaglio era cominciato dopo che, sulla fine del ’49, il futuro poeta dei Châtiments non era stato chiamato, come sperava, a far parte del Ministero!), si degnò di fare omaggio al poeta del Cinque maggio d’un esemplare della sua Storia di Giulio Cesare. E a Costantino Nigra, degnissimo intermediario tra l’augusto donatore e il poeta non meno augusto, questi ebbe a scrivere ringraziando:

Corro alla Storia di Cesare con l’aspettazione e con l’impazienza d’un uomo persuaso che a nessuno è dato di penetrare nello spirito de’ pochi che hanno influito in un modo unico sul corso della società, quanto a chi, con imprese vaste, benefiche e imprevedute, ha dato indizio d’esser già, e di dover essere ancora più, uno di loro. L’inaspettata degnazione dell’Imperatore a mio riguardo, m’impone certamente un obbligo singolare di riconoscenza; ma non può nulla aggiungere all’intensità de’ voti che fo da gran tempo per la lunghezza della sua carriera, e per la conseguente durata della sua dinastia; nella quale sola, dopo tanto avvicendarsi e ripetersi d’inutili e monotoni tentativi, mi par di vedere oramai la possibilità di una stabile quiete, fondata sulle condizioni più essenziali, e finora così poco curate, d’una universale giustizia politica. È vero che, anche contro il nuovo ordine di cose, ci sono proteste di partiti; ma contro quegli altri erano proteste di popoli.

Non si potrebbe esser più espliciti: tredici anni circa dopo il colpo di Stato, il Manzoni augurava cordialmente longevità e stabilità a quel «nuovo ordine di cose» che metteva capo al 2 dicembre 1851! Tuttavia nella lettera stessa accennava bensì con riconoscenza alle «imprese vaste, benefiche e imprevedute» che Napoleone aveva compiute, ma riguardosamente additava quel tanto di più che egli, e con lui l’Italia, s’aspettavano dal potente alleato: «ha dato indizio d’esser già, e di dover essere ancora più...».