Pagina:Tragedie (Pellico).djvu/123

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118 ester d'engaddi

Arte gli torna, or con minaccia orrenda
Osa assalirmi. — Ahi, che ti dissi? Oh come
Fremi! Padre, ti calma.
Eleazaro.                                                  Ah con tranquillo
Spirto, qual mi credea, tutte non posso
Soffrir le angosce, onde m’abbevri, o Dio!
Troppa è questa: a furor tratto mi sento!
Cristiano io son, ma fui guerrier: la destra
Si ricorda del brando! — Io perdonava
All’impostor l’a me rapita pace
E il comando e la gloria e il tetto mio;
Ma oltraggiar la mia figlia!
Ester.                                                  E che potresti
Contr’uom cui sacrosanta ara fa scudo?
Contr’uom che accenna, ed il suo cenno è morte?
Fuggirlo è forza. Bilanciar sua possa,
Tranne il mio sposo, a nullo altro è qui dato;
Nè agevol pur ciò fia: del ciel l’aiuto
Uopo c’è assai; ma questo, deh, t’affidi!
Più ch’ogni legge, non la tua tel dice?
D’iniquità caduco è il regno. — Ah, vanne.
Eleazaro.                                                  Caduco, sì, ma nel lor regno, ahi quante
Vittime atterran! — Qual m’invada or fero
Spavento dirti non poss’io: mi splende
Dell’avvenir quasi un orribil lampo.
Spregiato amore in truce odio mutarsi
Veggio! te scopo del possente all’ira!
Te di perfidie e di calunnie cinta:
Te della tua innocenza e d’esser figlia
A genitor non reprobi punita!
Ester! Ester! quel mostro, io solo appieno,
Io ’l conosco! me misero! salvarti
Chi da lui può?
Ester.                                   D’Ester lo sposo, e il cielo.
Soverchio amor vana t’ispira, o padre,
Vana temenza.
Eleazaro.                                   Eppure.... odi: se a lungo
Separati noi fossimo.... o per sempre