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Pagina:Tragedie (Pellico).djvu/125

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120 ester d'engaddi

I miei cadenti genitori; in tema
D'un pugnal sempre; ricovrarsi astretti
Infra i leoni del deserto! — Oh vista!
Sbranati là sovra remota rupe....
O di duolo spiranti.... ovver di fame!
E nessun che alle vecchie ossa infelici
Scavi una tomba! i moribondi detti
Nessun che a me riporti! invan la figlia
Benedite morendo: ella non v’ode,
Lontana piange!


SCENA IV.


Dopo che ELEAZARO fu partito, AZARIA e JEFTE entrarono nella tenda. Non trovando colà ESTER, AZARIA esce furente, e mal trattenuto dal pontefice, prorompe sin di qua dalla rupe, e sorprende ESTER, allorchè finisce di parlare, e le sue lacrime sono più dirotte.


Azaria.                              Oh infame pianto! Il giorno
Del mio ritorno a’ scellerati è lutto!
Di pien lutto fia giorno!1
Ester.                                                  Ove? quai detti?
Qual rabbia insana?
Azaria.                                        Perfida! e tu pure
Trattenermi osi! Qui diceansi addio
I mesti amanti: ultimo addio, tel giuro!
O s’altro udir ne vuoi, qui strascinato
Appo la fida sua, qui, sotto a’ colpi
Del mio acciar replicati il caro petto
Ti manderà l'ultime voci!
Jefte.                                                       Arresta:
Così m’ascolti?
Azaria.                              Il mio furore ascolto.

  1. Snuda la spada, e vuol correre in traccia del creduto rivale; Jefte ed Ester lo trattengono.