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Pagina:Tragedie (Pellico).djvu/233

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228 gismonda da mendrisio

Più lieti suoi tal era forse. Ahi, brevi
Que’ giorni fur!
Gismonda                                 Co’suoi fratelli all’arme
Cresciuta aveala il genitore. I maschi
Feri costumi, la brutal baldanza
Pinger doveansi nel suo volto, e orrenda
Far sua beltà. Vero è, ch’ella una volta
Col suo braccio allo sposo i dì salvasse?
Gabriella.Valor non era, o donna. A lui salvava
La vita, è ver, scagliandosi improvvisa
Su nemico drappel: ma solo impulso
Erale amore. Oh! sposa mai cotanto
Il suo compagno non amò! — Chi maschi,
Feri costumi a Gabriella appose,
Non la conobbe. Timido é il suo volto,
Timido il cor, timidi gli atti; e spesso
L’intesi dir: «Benchè educata all’armi,
Debol io son; chè se talor respinto
Breve istante ho il nemico, opra non mia
Era, ma in esso di pietà o stupore.»
Gismonda.Giovin, tu oblii, di Iacopo tessendo
E dell’empia sua figlia a me la lode,
Che in terra sei non di felloni. Infamia
Tutti li copra. Vanne.
Gabriella.                                           Il Conte io....
Gismonda.                                                                       Vanne.
Già d’Ariberto il fato ei sa, tel dissi.


SCENA III.



GABRIELLA.



Me sventurata! m’ingannai. Mestizia
È nel suo viso, ma inumana. All’odio
La crebber tante stragi, ahi, di sua patria
E de’congiunti. E tu, mio padre, il pio,
L’intemerato fra’guerrieri, un mostro
Sei di Gismonda a’guardi! Oh la infelice