Pagina:Tragedie (Pellico).djvu/277

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272 leoniero da dertona.

Mi ti palesi. Io dertonese antico
Sono e i costumi di mia patria osservo:
Quello è il mio tetto: ivi fraterno pane
E a tua difesa fedel brando io t’offro.
Leoniero.Mercè ti rendo, o cavalier; ma un figlio
A visitar qui mossi. — (Egli?...)
Guidello.                                                       (Qual voce!)
A che mai sì mi guardi, e ti commovi,
E mi riguardi più commosso?
Leoniero.                                                  Oh amico!
Guidello.Desso! Tu da sì lunghi anni ramingo
Co’ pii crociati! Oh Leonier!
Leoniero.                                                       Guidello!
Tu vivi ancor! Più rabbracciarti io mai
Non isperava.
Guidello.                         Oh! reduce a tue mura
Ben attendesti allor che il primo nembo
Della guerra ruggía di Federigo
Sulla misera Italia. A lungo il nembo
Imperversò; non comparisti, e allora
Dissi: «Sotto l’acciar del Saracino
«Caduto è Leonier!»
Leoniero.                                        Non tardi il grido
Degli affanni lombardi in Orïente
Giugnea; ma nelle tende saracine
Io fremente languia, nè di prigioni
Cambio accadea. Spuntò quel giorno alfine
Che ricinsi la spada e intesi il bando
D’Alessandro pontefice, che sciolti
Dalla crociata, all’arme avea i Lombardi
Contra la boreale oste chiamati.
M’accoglie il primo pin; Napoli tocco;
Ma epidemico morbo io da Sionne
Portato avea. Scoppiò il malor. Respinto
Fui dall’uman consorzio, e un lazzeretto
Me intero un anno seppellì. Risorto
Quasi da morte, a rapide giornate
Qui m’avvio; ma sonar per le vicine