Pagina:Tragedie (Pellico).djvu/293

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288 leoniero da dertona.

Non ti turbar, l’annuncio tuo ad Arrigo
Inatteso non giunge; e se d’amaro
Alcun che avea, tu, donna, gliel toglievi,
Recandol tu.
Eloisa.                         No, Arrigo. Oh quai funesti
Detti! o con quale snaturata quiete
Osi tu proferirli!
Arrigo.Io non m’inganno;
Nel tuo pallor, nella tua angoscia io leggo.
Nè snaturata appellar dèi la pace
Con che l’addio tuo tenero ricevo.
Pace quest’è dell’incolpevol prode
Nell’ora sua suprema. In siffatt’ora
Pianto addiríasi a chi d’Auberto nasce?
E tu, d’Auberto non sei nuora?
Eloisa.                                                            Io moglie
Ti sono, Arrigo. Mia virtù è l’amarti;
Mio bisogno il tuo vivere; di questo
Insanguinato cor l’acuto grido
È il viver tuo! il viver tuo!
Arrigo.                                                       Pietosa
Meco non sei. Chi di fortezza ha d’uopo
Non gentil atto è intenerir. Ten prego,
Eloisa: tua nobile costanza
Degna di me or ti mostri. Io ne’ tuoi figli
Ti resto ancor.
Eloisa.                              Ah, i figli!... Abbi di loro
Pietà. Qui non li addussi; Auberto teme
Che ostaggio Enzo li tenga. Oh! a tue ginocchia
Entrambo s’avvinghiassero, e «Deh, padre,
Ti dicessero, in te il serbarci stassi
L’unico nostro difensor. Canuto
È l’avo, egra la madre, e senza alcuna
D’armi possanza. È a noi fero uno zio
Che non perdoneríane essere prole
Di chi nemico ei trucidato avesse.
Estranei amici? Oh! amici han mai pupilli
Cui del tiranno insegua l’odio? O padre!