Pagina:Tragedie (Pellico).djvu/306

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atto terzo.—sc. III. 301

Auberto.All’alba mi lasciò; nè breve istante
A consolarmi si raddusse.
Ghielmo.                                             Spesso,
O fratel, t’udii pur degli antichi odii
Lamentar l’ingiustizia, origin prima
Al comun depravarsi. E in questo giorno
Tu fele al generoso emulo serbi?
Nè ad ammirarlo ti commove il pronto
Suo antepor la repubblica, ove scerre
Dovea tra questa e il figlio? Udito hai pure
Da color che presenti erano i forti
Detti al figlio parlati. A noi possente
Oggi sostegno fassi.
Auberto.                                   Al figlio suo
Nemico?— Sì.— Sostegno a noi?— lo ignoro.
Sostegno a noi mal fassi uom che novelle
Discordie arreca; uom che, gli Auberti padri
Sapendo esser del popolo, avversario
Sè inesorabil degli Auberti vanta.
Oh! in vece sua, ripatrïando, avessi
La libertà del popol mio in periglio
E del popolo un solo eroe trovato,
E Leonier stato egli fosse! In braccio,
Tel giuro, a lui sarei volato; e mia
Stata sarebbe la sua insegna; e all’ombre
Degli avi miei baciandolo avrei detto:
«Come voi, di giustizia è cavaliero!»
Ghielmo.Nè men di te magnanimo fia il prode.
Auberto.Che? Non fu udito di Guidel con ira
Rigettar la proposta, e dir che un tetto
Auberto e lui capir non può, se il tetto
Della tomba non sia?
Ghielmo.                                        Plácati.
Auberto.                                                  Ghielmo,
Oh! ben appar che da diverse nozze
La madre nostra ci diè vita. Gli avi
Miei con dispregio e me Leonier noma;
Il popolo a spregiarmi ei trarre agogna.