Pagina:Tragedie (Pellico).djvu/339

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334 erodiade.

Incolpevol restar? - Perfido! a vile
Mi tenne un dì, perch’io veggendo Erode
Involontariamente arsi di gioja,
E il caro nome suo, la notte in sogno,
Mi sfuggì dalle labbra. Inesorato
Ne’ suoi sospetti, nel suo fero spregio,
Oltraggi più mi sparmiò, fu sordo
A tutti i preghi; a par delle sue schiave
Osò trattarmi. Ed io, dopo gran lotta
Con mia virtù, dopo invincibil lotta
Per serbarmi magnanima e piuttosto
Morir,... fui vinta dallo sdegno.
Giovanni.                                                            Vinta
Esser ti parve dallo sdegno, ed eri
Dall’ iniquo amor tuo.
Erode.1                                        Che ardisci?
Giovanni.2                                                                 Agli aspri
Detti d’offeso sposo oppor non aspri
Detti dovevi, ma soavi. Ingiusto
Era? Maggiore a te incombeva adunque
Di pazïenza ufficio, e benedetta
Dagli uomini e da Dio stata saresti.
Erodiade.Pazïenza agl’insulti! E non l’ebb’io?
E chi sei tu che dirmi osi: «Dovevi
Questa virtù spinger più oltre! » — È alcuno
Che misurar la virtù possa altrui,
E asseverar che, ove cessò, capace
Ancor fosse d’estendersi? Infinito
È forse l’uom? Lo stanco peregrino,
Perchè, varcate molte balze, a terra
Alfin si prostra, un infingardo è forse?
Quando lena gli manca, uom dir gli puote
«Altre balze da te varcar pendea!» —
Oh! se patii longanime! oh se morsi
L’orrendo freno! e oh quanto tempo il morsi!
E alfin, quando nell’anima mi surse
In tutta la terribil sua possenza

  1. A Giovanni.
  2. Ad Erodiade.