Pagina:Tragedie (Pellico).djvu/34

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atto quarto. — sc. iv. 29

Padre nomasti. Ei mite era co’ figli
Anche se rei credevali.
Paolo.                                             Tu solo
Succedergli mertavi. E che mai dirti?
Oh, come atterri la baldanza mia!
Anch’io talor magnanimo mi credo;
Al par di te nol son.
Lanciotto.                                        Dì; se tua sposa
Fosse?
Paolo.          Francesca? Ah, d’un rival pur l’ombra
Non soffrirei!
Lanciotto.                         Se un tuo fratello amarla
Osasse?
Paolo.                    Più non mi saria fratello.
Guai a colui che osasse amarla! Il giuro.
Guai a colui! Lo sbranerei col mio
Pugnal, chiunque il traditor si fosse.
Lanciotto.Me pure assai questo desio feroce,
E trattengo la man che al brando corre,
Credilo, a stento la trattengo. Ed osi
Del tuo delitto convenir? Sedurre
La sposa altrui, del tuo fratel la sposa!
Paolo.Meno crudel saresti or se col brando
Tu mi svenassi. Un vil non son. Sedurre
Io quel purissimo angiolo del cielo?
Non fòra mai. Chi di Francesca è amante
Un vil non è; lo foss’ei stato pria,
Più nol sarebbe amandola; sublime
Fassi ogni cor, dacchè v’è impressa quella
Sublime donna. Io, perchè l’amo, ambisco
D’esser uman, relïgioso e prode;
E perch’io l’amo, assai più forse il sono
Ch’esser non usan nè guerrier, nè prenci.
Lanciotto.E inverecondo più d’ogn’uom tu sei.
Vantarmi ardisci l’amor tuo?
Paolo.                                                  Se iniquo
Fosse il mio amor, tacer saprei; ma puro
È quanto immenso l’amor mio. Morire