Vai al contenuto

Pagina:Tragedie (Pellico).djvu/83

Da Wikisource.
78 eufemio di messina.

Un monumento degli eroi che furo;
E lo spirto che in noi ferve assetato
Di fratellevol libertà e d’onore,
Nulla estinguerlo può. Siederà il Moro
Dominator di queste piagge indarno:
Addormentar con l’ignoranza e il ferro
E il torpor de’ suoi barbari costumi
Egli vorrà la conquistata gente:
Ma folle speme fia la sua; segrete,
Sì, converranno, ma immortal le fiamme
D’amor patrio e di gloria, e più tremende
Quanto più ascose.
Almanzor.                                        Che favelli? È insania
Degl’idolatri l’adorar le mura
D’una città; di Maometto i figli
Patria non hanno altra che il campo e il cielo.
Clemenza rea sui vinti era la tua:
Di tal fralezza io vergognai: nemica
Ti fu Messina; a dritto l’atterrammo.
Eufemio. E il perdonar?... ah, virtù questa è arcana
Al cor dell’uom, se in lui mai non discese
La pietà santa del Vangel! Sospinto
Dianzi dal furor vostro io prorompea
Nella magion di Dio; fero terrore
Mi turbava la mente; io vacillava
Plaudendo con ribrezzo alla rapina
De’ sacri arredi. Volger tento il brando
Contro all’altare, e sovra il cor mi sento
Quasi ferrea una man che mi respinge.
Fuggo tra l’ombre, a freddo marmo appoggio
Il vaneggiante capo: oh spaventose
Voci! quel marmo riconosco; ei serra
D’ambo i parenti miei l’ossa onorate.
Che dicesser non so; ben mi ricorda
Che m’appellavan scellerato, e lunghi
Mettean singulti, e nell’avel fremeano....
Quindi ritrarmi voglio. Ecco alla porta
D’infra gli estinti sacerdoti immenso