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xxx | prefazione |
A questo punto del suo sviluppo, l’organismo della tragedia é concluso. D’ora innanzi, muterà la superficie, ma lo scheletro, la membratura, la sostanza fondamentale, rimangono quelli, cooperando a tale stabilità la tendenza, insita in ogni ramo dell’arte greca, e visibilissima nelle arti figurate, a non compiere salti, ad effettuare ogni progresso mediante piccole, e talora insensibili aggiunte alle forme giá esistenti.
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Nella mia ipotetica ricostruzione delle origini e delle primissime vicende della tragedia, non ho dovuto distaccarmi dalla testimonianza aristotelica. Né me ne ero distaccato, anni sono, nel mio Teatro Greco. Se non che, da piú parti mi fu rivolto il rimprovero che io non abbia tenuto conto delle nuove ricerche, delle nuove scoperte scientifiche.
Ma, vediamo un po’, a che si riducono, in sostanza, queste scoperte? Adoperandosi, secondo la critica manía moderna, a dimostrare che la verità era proprio il contrario di quanto ci avevano trasmesso gli antichi, Crusius e Schmidt fanno derivare la tragedia dal culto degli antenati e dalla celebrazione della passione dell’eroe: culto congiunto con quello di Diòniso per il suo carattere ctonio. Rohde e Dieterich andarono a pescare nel mare infido dei Misteri Eleusini, dove Diòniso aveva pure gran parte: Ridgeway, infine, saltò il Rubicone, staccò il culto di Diòniso dal culto dei morti, e in quest’ultimo cercò l’origine del coro tragico, e, dunque, della tragedia. Οὐδὲν πρὸς τὸν Διόνυσον: di Diòniso non c’è piú