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126 EURIPIDE


Riducete qualche melodrammatica artificiosa grazia d'espressione (il brano era cantato), e avrete le contumelie che una qualunque donna — non una signora — rivolge al suo seduttore.

E il fido aio di Creusa consiglia pari pari di dare alle fiamme il suo tempio.

E assai severamente lo giudica perfino Ione, il suo fido ministro, e quando ancora non sa di essere anch’egli una vittima:

                         convien ch’io biasimi
quello che Febo fa. S’unisce a forza
con le fanciulle, e le tradisce, e i figli
furtivamente procreati, lascia,
senza pensiero darsene, che muoiano.

E queste rampogne, in forma cosí oltraggiosa, ma tanto giuste che nessuno potrebbe rintuzzarle, non servono davvero ad accrescere il prestigio della figura del Nume. Euripide nel suo teatro aveva fin da principio ridotte le figure degli eroi alle comuni proporzioni dei mortali; ma i Numi erano stati rispettati. Nello Ione, invece, anche un Dio, e qual Dio, veneratissimo anche nella irriverentissima commedia, era tratto giú giú, a livello d’un mortale un po’ furfante. Personaggio da dramma, come ora si direbbe, borghese.

O anche meno. Sentiamo che cosa dice Atena, quando appare a rassicurare l’incredulo Ione.

                         Qui son corsa in fretta
per mandato d’Apollo: esso in persona
non crede’ bene giungere al cospetto
vostro, ché in ballo non tornasse il biasimo
di ciò ch’è stato.