Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) I.djvu/206

Da Wikisource.

IONE 137

risponde che non bisognava versare questo contenuto in una parte della pàrodos destinata in origine alle preghiere ai Numi: che non bisognava convertire in un’apostrofe ad una granata le fervide commosse invocazioni che i coreuti di Eschilo intonavano con accento di profeti.

In verità, qui è alterato profondamente il concetto della partecipazione che la musica doveva aver nel dramma, e, di conseguenza, il concetto della stessa essenza della musica. Qui la musica non è piú uno dei mezzi principali, forse il principale, di cui si serve il poeta per esprimere il lato piú misterioso e profondo della sua complessa visione artistica. Qui è divenuta o si avvia a divenire mèra ornamentazione. Grazioso è Ione, e graziosi i suoi movimenti. Quanto acquisteranno ancora di grazia, se accoppiati alla musica e alla danza! Ed ecco, egli dichiara via via ogni gesto che compie, e lo armonizza con la parola cantata.

E non si nega che l’effetto potesse riuscirne piacevole. Ma, senza dubbio, questo commento cantato ad una azione anodina, nel quale la musica è abbassata ad un frivolo ufficio, è una delle tante categorie che rendono cosí disperatamente stupido il lirismo melodrammatico.

Giudicare poi quale fosse il carattere della musica d’Euripide in questo dramma, non riesce possibile. Tuttavia, anche dai semplici ritmi e dalle parole delle monodie di Creusa, risulta chiaro un eccesso di canorità, quello che dava tanto ai nervi ad Aristofane. E, in realtà, le parodie del commediografo sono cosí diaboliche, che spesso leggiamo Euripide e ci par di leggere la sua caricatura di qualche commedia aristofanesca.