Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) I.djvu/265

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xuto

Bene tu parli; e avventurati anch’essi
saran pei detti tuoi quelli che ami.
Lascia questi discorsi, e impara ad essere
felice. Io voglio, incominciando, o figlio,
da dove io ti trovai, sedendo all’epula
d’un comune banchetto, i sacrifici
per la nascita tua, non celebrati
pria, celebrare: a casa, poi, come ospite,
a lieta mensa verrai meco; e come
spettatore ad Atene io t’addurrò,
non come figlio mio: ché la mia sposa
priva di figli addolorar non voglio,
io, ch’or n’ho la ventura. E poi, col tempo,
l’occasione spïerò d’indurla
che mi conceda a te lasciar lo scettro
della mia terra. E a te di Ione il nome
darò3, che bene alla ventura addicesi,
perché sui passi miei, quando io dagli aditi
del tempio uscivo, tu primo accorresti.
Ora, i giovenchi immola, e a mensa invita
gli amici tuoi, salutali, ché Delfi
omai tu lasci. E voi tacete, ancelle,
tutto che udiste; ché se nulla mai
direte alla mia sposa, a morte andrete.

ione

Andrò. Ma un punto alla fortuna mia
manca: se quella che mi generò
non trovo o padre, la mia vita, vita
non è. Se poi debbo augurarmi, oh possa