Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) I.djvu/32

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PREFAZIONE XXXI

nico. Non si lascia guidare da loro, ma tiene sempre, ben stretto in mano, il filo che serve a farli muovere. In una parola, non crede ai suoi personaggi.

Ed è impossibile che le conseguenze di tale scetticismo non si riflettano sullo spirito degli spettatori o dei lettori.

Un altro fattore che importa una profonda modificazione nel dramma euripideo, è il propagarsi della parte lirico-musicale, dalle sue sedi originarie alle sedi drammatiche. Per valutare bene questo fenomeno, bisogna partire da un esame del dramma dalle sue origini.

Il dramma greco, quale lo vediamo nei piú antichi lavori d’Eschilo, era costituito da una lunga pàrodos, o canto d’entrata nel coro, che, a sua volta, risultava di due parti: a) un brano in anapesti, ritmo di marcia, che il coro recitava, accompagnato dal flauto, entrando nell’orchestra, e compiendo qualche breve evoluzione per collocarsi dinanzi all’ara di Diòniso, nel centro dell’orchestra; b) da alcune coppie di canti strofici o epodici, strofe, antistrofe, epodo, che cantava compiendo evoluzioni danzate intorno all’ara.

Seguiva un episodio drammatico, recitato prima da un personaggio interloquente col coro, poi da due, poi da tre. Il metro di questo episodio pare fosse in origine il tetrametro trocaico; poi fu, in prevalenza, il trimetro giambico. L’episodio era recitato.

Alla fine dell’episodio, seguiva una nuova serie di canti danzati del coro intorno all’ara. Si diceva stàsimo. Qualche volta era anch’esso preceduto da una breve introduzione anapestica, che non aveva piú una reale funzione, ma era rimasto per inerzia.