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PREFAZIONE | XLI |
che troviamo in Eschilo, né la dipendenza da profondi principii etici e religiosi che li richiami ad unità, né la profonda e sentita originalità di conio che rampolla dalla coscienza profonda. Derivati dalla gnomica corrente, ed esposti senza neanche, parrebbe, aspirazione e personalità, appaiono un po’ sgranati, e, sfumando spesso nel troppo generico, sembrano perdere la connessione col contesto. Sicché, non riescono ad essere nel complesso del dramma vero elemento caratteristico.
E cosí, le rievocazioni mitiche, sono, sí, connesse con lo svolgimento del dramma. Però, mentre in Eschilo sono addotte come spiegazioni o giustificazioni delle vicende tragiche, hanno insomma, ufficio di mezzo, e non di fine: Euripide, piú che ad insistere sulle connessioni e sui rapporti fatali, bada a rendere evidente la rappresentazione. Una tendenza simile già si poteva rilevare in Sofocle. Ma in Euripide è assai piú sviluppata e significativa. E spesso queste rievocazioni, soverchiando ogni misura, divengono veri e proprii poemetti.
Cosí nell’Elettra, la favola del vello d’oro; ne Le Fenicie, la favola di Cadmo, piena di vita e di calore; nella Ifigenia in Tauride il mito di Febo, che s’impadronisce dell’oracolo di Pito, e poi, scacciatone da Gea, va in Olimpo a piatire presso Giove; nell’Elena il mirabile poemetto della passione di Demetra (vedi introduzione al dramma); nell’Ercole la narrazione delle imprese dell’eroe. Quest’ultimo è un vero e proprio poemetto, non solo quanto all’essenza, bensí anche a certi atteggiamenti formali.
C’è. per esempio, l’invocazione:
Dopo l’inno di gaudio,
del tristo elíno risuonar fa’ l’etra,
Apollo, fa’ con l’aureo
plettro vibrar l’armonïosa cetra.