Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) I.djvu/53

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LII EURIPIDE


Ho cercato di rilevare nelle singole prefazioni, dramma per dramma, il carattere e la portata di questi tentativi. Ma giova, anzi mi sembra indispensabile un breve riassunto sintetico, ordinando i drammi secondo lo schema cronologico.

Nell’Alcesti troviamo una materia ricca e varia, disposta in tanti quadri, che si succedono con somma libertà, quasi sempre con effetto di contrasto: la rinuncia all’impiego della forza del Fato, anzi la ribellione: perché l’eroismo d’un mortale rende vano il decreto delle Parche. Allo svolgimento, ampio e libero, dei sentimenti e delle passioni, si accompagna un largo uso di elementi comici. Il coro, sottratto alla concezione arcaica, risoluto nei suoi elementi, ridotto a popolo, intercalato nell’azione con bella fusione quando è in ufficio drammatico, e quando è in funzione lirica sempre stretto all’azione e logicamente giustificato. Manca la narrazione dell’araldo, manca interamente il carattere sofistico. Insomma, la materia dell’arte viene elaborata con piena libertà, come detta l’estro, e, un po’, il capriccio. E c’è la rinuncia quasi assoluta alle risorse d’una tecnica tradizionale e sicura, per affidarsi interamente alla sensibilità, alla intuizione. Vien fatto di pensare a Shakespeare.

Questa concezione, che possiamo dire perfetta, e che forse fu piú agevolmente raggiunta perché l’Acesti occupava nella tetralogia una posizione speciale (vedi introduzione), non appare mantenuta nel séguito dell’opera euripidea. Troviamo invece una continua, oscillante ricerca. E, subito dopo l’Alcesti, come un ripiegamento sulle posizioni tradizionali.

Tradizionale appare, quanto alla forma, la Medea. Se non che, sotto la buccia antica, si chiude una polpa nuova. In questo dramma, Euripide ha rinunciato a tutte le mirabili possibilità del soggetto, e a tutte le risorse della sua drammaturgia: alla varietà d’episodii, allo sfoggio dialettico, al colore locale, alla luce della lirica corale, alla varietà ritmica, per