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LE BACCANTI 17

consorte? Ed Euripide rappresenta con l’arte sua quanto il mito gli offre, senza sottoporlo alla critica abituale.

Comunque sia di ciò, certo l’effetto che risulta da questa ortodossia mitica, è possente. Appunto per quel che hanno di meno convincente, di eccessivo, d’atroce, queste situazioni cozzano l’una contro l’altra con violenza straordinaria.

E tanto questa inumana crudezza delle situazioni quanto la semplificazione dei caratteri e la unità della linea, dànno alle Baccanti un carattere arcaico, grandioso e terribile, che le distingue nettamente dagli altri drammi d’Euripide. Giunto all’estremo della vita, il poeta ha voluto levare al Dio dell’arte sua un grande austero monumento, ed ha composto questo non dramma, bensí mistero di Diòniso. Nel mistero, tutto deve essere subordinato alla figura del Dio, che campeggia da cima a fondo, radiosa e terribile. E i cori, che, insinuandosi armoniosi tra scena e scena, abbelliscono e ammorbidiscono la severa linea dell’azione, completano mirabilmente il quadro della vita dionisiaca: danze notturne, fughe attraverso selve, cacce cruente, prodigi compiuti sulla natura, e la nascita di Diòniso e la sua puerizia tutelata dai Cureti, e gli strumenti, le danze, le corse e i riposi montani; è come un gran fregio che corre intorno al gruppo centrale del trionfo di Diòniso, dello scempio di Penteo; ed anche nel fregio trionfa la figura del Nume che leva alta la ferula col fuoco sacro:

Alta squassando Bacco la rutila
vampa che sprizza dalla sua ferula,
si avventa in corsa, con la danza eccita,
con le grida eccita gli erranti, e all’ètere
scaglia i suoi riccioli
molli, ed insieme coi lieti cantici
grida cosí.