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ALCESTI 111

elementi, ridotto a popolo, intercalato con fusione perfetta nell’azione drammatica. E la conseguente riduzione delle parti in funzione lirica.

E delle parti liriche che permangono, è cercata, evidentissimamente, la giustificazione logica nell’economia drammatica. Il canto che segue all’allontanamento della salma d’Alcesti, è il peana funebre, a cui il re stesso ha invitato il coro, e che sarebbe stato intonato anche nella realtà. Lo stesso, su per giú, si può ripetere per l’altro canto che il coro intona, quando, dopo il diverbio fra padre e figlio, si avvia per accompagnare all’ultima dimora la salma della regina. E questo è sano e legittimo razionalismo.

Nella scena di carattere intimo fra Ercole e il servo, viene allontanato il coro, che avrebbe assunto quel carattere di importunità che tanto spesso ci offende in quasi tutti i drammi greci.

La morte di Alcesti avviene sotto gli occhi degli spettatori. Per quanto sappiamo, sulle scene ateniesi non s’era ancor visto. (Poco dopo, si sarebbe visto nell’Ippolito).

Manca la narrazione dell’araldo, che con Sofocle era divenuta canonica, e che era uno dei motivi prediletti d’Euripide. Dal lato della concezione drammatica, la sua assenza non costituisce certo difetto.

Manca, infine, completamente, il carattere sofistico, che macchia, quasi senza eccezione, gli altri drammi d’Euripide.

Questi, nell’affermazione e nella negazione, i tratti fondamentali e caratteristici dell’Alcesti. Nessuno è nuovo, tutti, uno per uno, potremmo trovarli in questo o in quello dei drammi anteriori. Ma non cosí raccolti in un solo dramma, né cosí abilmente e coscientemente armonizzati. Qui è la novità, qui la genialità d’Euripide; nell’esser giunto, su le basi della drammaturgia corrente, mediante intensificazioni ed esclusioni, ad una concezione drammatica d’una libertà e d’una fre-