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si manifestano e si possono derivare dalla musica. Ma poi Euripide era profondamente musicale e precursore. Se non proprio nella piena chiarezza della coscienza, certo nella penombra della subcoscienza, dové concepire in questi termini che a piú d’uno sembreranno troppo moderni. Ma nei poeti, quando sono veramente poeti, anche se un po’ intrisi, come Euripide, di razionalismo, c’è sempre il Dèmone che suggerisce, e addita lontano, fra nembi e folgori, le vie del futuro.

E in questa tragedia, e, dunque, in questo personaggio, Euripide ha concentrato quanto piú poteva d’orrore tragico. Una madre che uccide i proprii figli. Ed anche qui ci troviamo innanzi ad una esplicita volontà dell’artista. Pare certo che né la tradizione popolare, né i poeti d’arte anteriori ad Euripide, conoscessero l’infanticidio1. L’ha inventato Euripide. Ha voluto offrire una quintessenza d’orrore.

L’esperimento non era senza pericoli. Gli eccessi son tutti pericolosi, e dal tragicissimo al ridicolo, il passo è breve. E ad ogni modo, gli spettatori non tollerano i personaggi troppo efferati e disumani. E i poeti che dopo Euripide ripresero il soggetto, attenuarono quanto era possibile la responsabilità dello scempio, facendo sí che Medea lo commettesse quasi senza partecipazione della sua volontà, per una passeggera

  1. Secondo una tradizione riferita da Pausania (Corinto, 3), i figli di Medea sarebbero stati lapidati dai Corinzî, dopo che ebbero offerti a Creusa i doni fatali. E i Corinzî contemporanei d’Euripide, per purgare la memoria dei loro antenati dalla taccia di cosí ingiusto scempio, avrebbero pregato il poeta di escogitare nella sua tragedia una morte diversa (Eliano), e gli avrebbero offerti, per questa falsificazione, cinque talenti. Saranno le solite storielle dei tardi letteratoidi perditempi. Ad ogni modo, vale anche qui ciò che ho detto a proposito dell’episodio d’Egeo.