Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) II.djvu/284

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LE FENICIE 281


meneceo

Ben dici, o padre. Or va. Da tua sorella
mi recherò frattanto io, da Giocasta,
onde il latte succhiai, che di mia madre
privato io fui bambino, orfano fui,
per salutarla e per condurmi in salvo.
Ma va’: non fare ch’io per te ritardi.
Creonte s’allontana. Meneceo si rivolge al coro.

Donne, cosí del padre ogni sospetto
sventai coi miei discorsi, onde ora posso
effettuare il mio disegno. Ei vuole
allontanarmi, e la città privare
della salvezza, e indurmi a codardia.
E perdonar bisogna un vecchio; ma
io di perdono degno non sarei,
se tradissi la patria onde pur nacqui.
Io dunque andrò, sappiatelo, farò
salva la mia città, darò la vita
per questa terra. Assai turpe sarebbe,
se quei che immuni sono d’ogni oracolo,
né son costretti dal voler dei Dèmoni,
saldi alle torri innanzi rimanessero,
senza schivar la morte, e combattessero
per difender la patria; ed io, tradito
il mio fratello, il padre mio, la patria,
dalla terra fuggissi a mo’ d’un vile:
vile, ovunque vivessi, io sembrerei.
No, per Giove che siede in mezzo agli astri,
e per Marte cruento, onde gli Sparti
dal suol nati, di Tebe ebber l’impero.
Andrò, starò sovra gli eccelsi spalti,