Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) II.djvu/294

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LE FENICIE 291


E Tidèo vidi, e le sue fitte schiere
che giavellotti contro l’alta fauce
scagliavan delle torri, onde, fuggiaschi,
i merli abbandonati aveano i nostri.
Ma, come un cacciatore, il figlio tuo
li raccozza di nuovo, e li dispone
sopra le torri. E quando ebbe provvisto
a questo mal, movemmo a un’altra torre.
Or, come ti dirò quanto il furore
era di Capanèo? Venía, recando
d’un’erta scala i gradi, e facea vanto
che neppure di Giove il sacro fuoco
posto gli avrebbe fren, sí ch’ei dal vertice
delle sue torri non struggesse Tebe.
Cosí diceva; e, fatto mira ai sassi,
tutto sotto lo scudo in sé raccolto,
ad uno ad uno, fra gli staggi, i lisci
gradi ascendeva della scala; e il vertice
già varcava del muro, allor che il folgore
di Giove lo colpí: diede un rimbombo
la terra, tal, che tutti esterrefece.
E dalla scala le sue membra, lungi
l’una dall’altra, frombolate furono:
all’Olimpo le chiome, il sangue a terra,
le mani, e il resto delle membra, come
la ruota d’Issïóne, in giro andavano;
e al suolo, arso, il cadavere piombò.
Or, come Adrasto alle sue schiere vide
nemico Giove, dalla fossa fece
ritrar gli Argivi. E i nostri, come videro
fausto per essi il giovïal prodigio,
spingendo i carri, e cavalieri e opliti,