Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) II.djvu/297

Da Wikisource.
294 EURIPIDE


ad azzuffarsi, ardire abbominevole,
dalle schiere in disparte, a faccia a faccia.
Ed agli Argivi ed ai Cadmèi rivolsero
parole quali mai dovuto avrebbero.
Etèocle cominciò, che su la vetta
si piantò d’una torre, e diede l’ordine
d’intimare il silenzio, e cosí disse:
«Duci d’Ellade e principi dei Dànai
che qui veniste, e popolo di Cadmo,
per Poliníce né per me, la vita
piú non vendete: io stesso vo’ rimuovere
da voi questo periglio, e col fratello
combattere da solo. E s’io l’uccido,
avrò solo io la reggia: il regno a lui
cederò, se son vinto. E voi, la pugna
abbandonata, tornerete in patria,
né qui la vita lascerete, Argivi.
E bastano anche quanti morti giacciono
già degli Sparti». Cosí disse. E il figlio
tuo, Poliníce, balzò dalle file,
ed approvò quei detti. Ed acclamarono
alto gli Argivi, e il popolo di Cadmo,
che quel partito giusto reputavano.
Cosí tregua si fece; e nella lizza,
fra le due schiere, giuramento i duci
fecero, di serbar fede a quel patto.
E già le membra i due giovani figli
d’Edípo, rivestian dell’armi bronzee.
E li armavan gli amici: Etèocle, gli ottimi
di Tebe; e l’altro i principi dei Dànai.
Cosí, fulgenti stavano, struggendosi
di vibrare le lancie un contro l’altro,